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  Brevi note su: La Tarantella  
     
 
   

L’etimologia del termine tarantella si deve collocare all’interno di vari vocaboli: taranta, tarantola, tarantato, tarantolato, tarantella, Taranto. Tutti hanno come radice linguistica comune  Taranto. Un’altra possibile etimologia di Tarantella rimanda il termine tarentinula o tarantinidion, le vesti discinte, quasi oscene che usavano i danzatori nei baccanali.

 


Il tarantismo rimanda ai culti orgiastici dell’antichità greca legati al culto dionisiaco. Dyonisos era il dio più importante della regione tarantina, infatti nel corso delle dionisie tutta la città si trovava in uno stato di ebbrezza. Nel Medioevo i culti furono repressi dalla Chiesa e le manifestazioni orgiastiche si verificavano solo in alcuni momenti dell’anno ed in particolari manifestazioni popolari.

 

La tarantella napoletana nasce nel XVIII secolo, quando si ha un’involuzione e crisi del tarantismo. Quest’ultimo nell’area napoletana perde ogni valenza simbolica e diventa danza.

Gli strumenti: La tarantella napoletana presenta strumenti a fiato, a corda e a percussione come nella tradizione tarantina ma introduce strumenti popolari autoctoni (il puti-pu, lo scetavajasse, lenacchere) e stranieri ( il triccabballacco) privilegiando la componente ritmica.

La gestualità: le posizioni sono scandite da fasi precise: in piedi, caduta al suolo e movimenti in terra complicati da altre figure e passi (salto. Ruota, voltata, accostamento, abbraccio finale)


Il canto: La tarantella napoletana è accompagnata da canti che hanno un nucleo erotico-sessuale. Molte furono le canzoni cantata sulla musica della tarantella, citiamo solo Cicerenelle, Zi Catone, Lo Guarracino. La più famosa è Lo Guarracino, storia di un pesce “guarracino” che, decidendo di sposarsi con una “sardella”, provoca una violenta battaglia tra tutti gli abitanti del mare. Il canto non è solo una favola marina ma racchiude anche allusioni alla rivolta di Masaniello e nasconde significati erotico-esoterici.

 

L’iconografia della tarantella: Le componenti di base del dionisismo sono esplicite nel richiamo continuo all’ebbrezza e all’erotismo. Se osserviamo l’iconografia relativa alla tarantella elemento onnipresente è il vino che viene bevuto o se ne intuisce la presenza nelle botti, in bottiglie e fiaschi che gli artisti hanno dipinto. Spesso le opere sono di pittori stranieri che,  tra il Settecento e l’Ottocento, giungevano in Penisola al seguito di intellettuali o personaggi ricchi che erano in viaggio per il Grand Tour. Fra i viaggiatori più famosi vale la pena citare lo scrittore Goethe, il nobile tesoriere Bergeret de Grancourt, Iohn Ruskin e i fratelli De Goncourt. Nella metà del XIX secolo la testimonianza dei viaggi viene lasciata non più ad opere di matita e colori ma a fotografie come fecero Gustave Flaubert e Maxim Du Camp.


Nel XVIII e nel XIX  secolo si sviluppò  una produzione in serie ad opera di stampatori e pittori napoletani. Le opere sono di scarso valore artistico, a volte anonimi e senza l’indicazione della data ma sono utili per comprendere come la tarantella stesse assumendo un ruolo commerciale. La rappresentazione iconografica è varia: a volte la tarantella viene osservata da vicino con un primo piano sui danzatori, altre volte la scena è più mossa perché il campo visivo si allarga a riprendere anche il contesto in cui si sta svolgendo la danza. L’interesse spiccato per questa danza è riscontrabile anche nella realizzazione di manufatti in stoffa ( Museo di San Martino – Tarantella ricamata su seta) , in prodotti utilizzati da dame dell’alta società come i ventagli o addirittura in sculture ( Pescatore che balla la tarantella di F. J Duret , Louvre di Parigi)

Chi ballava la Tarantella? In genere la tarantella era ballata da giovani popolari, ma anche borghesi e nobili. In genere i danzatori erano giovani e si esibivano ovunque, in città, in campagna, su una terrazza, in sale pubbliche o private. Si ballava in ogni occasione, ma in alcune era obbligatoria in quanto aveva un profondo significato collettivo: la vendemmia, la festa di Piedigrotta, la festa della Madonna dell’Arco.
La tarantella inizialmente era ballata solo da ragazze che si accompagnavano con un tamburello, successivamente saranno presenti anche figure maschili. Il ballo era eseguito da una sola coppia o da più coppie, era a volte  singola a volte collettiva. I ballerini si accompagnavano con nacchere e tamburelli ed erano accompagnati da altri musicisti con la partecipazione del  pubblico.

 

La letteratura e la Tarantella. Molti sono gli scrittori che, avendo avuto modo di assistere alla danza, ne parlano nelle loro opere. Goethe la descrive in una delle Lettere da Napoli scritta nel suo viaggio del 1787.; Henry Swinburne si sofferma sui particolari dei passi della danza nella sua Cronaca di viaggio del 1787. La Tarantella è descritta come una danza da salotto in Corinne, romanzo scritto da Mme De Stael nel 1807. Henrik Ibsen, che aveva soggiornato a Sorrento, in  Casa di Bambola del 1879 ne descrive l’aspetto sensuale ed erotico. Immagini diverse, l’una sensuale l’altra più volgare, ci ha lasciato David Herbert Lawrence in una poesia e una lettera scritta a Capri all’inizio del Novecento. Si deve ad Anton Giulio Braganza la leggenda secondo la quale la tarantella ha origini sorrentine ed un carattere lascivo: le Sirene avevano danzato la tarantella per conquistare Ulisse e per punizione le Grazie fecero sì che le loro gambe si trasformassero in coda di pesce.

 

Fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento ci sono testimonianze relative all’abitudine degli albergatori di allestire delle sale nelle più svariate fogge dove  veniva eseguita la Tarantella da gruppi locali, pagati per esibirisi. La testimonianza dello scrittore francese A. Dauzat e quella della viaggiatrice Magdeleine Pidoux dimostrano che la danza pur avendo assunto un aspetto turistico conserva la grazia dei movimenti e la melodia procura un’ebbrezza impareggiabile.

 

La tarantella descritta nel 1927 in Le cento città d’Italia:
…. Il costume sorrentino era, per la donna: vestito cremisi celeste ed arancione; gonna larga ed a pieghe con orli, frange e trine di oro; grembiule bianco ricamato; calze traforate. Orecchini a rosette e pendagli; fili di perle al collo.
Per gli uomini: calzoni neri o verdi al ginocchio, panciotto rosso a doppia bottoniera; giacca verde, gialla o rossa, calze bianche, fascia di seta a colori con cinture, berretto di lana rossa cascante a destra.
La danza comincia fra due giovani che si amano; al loro saluto, ai loro primi passi, animati dalla gioia, dall’amore, non tardano a seguire la volubilità, il malumore, e lo sdegno.
Ma il danzante è quello che ha più ragione e la sua compagna rientrata in se stessa, gli confessa il torto e cerca di trattenerlo umiliandosi fino a piegare un ginocchio al suolo.  L’uomo allora le gira intorno vittorioso e la perdona, alzandola amorosamente.
Ma ben presto succede la scena contraria.
Questa volta è l’uomo che ha mostrato infedeltà e leggerezza; la donna gli mostra il suo disprezzo allorché egli piega a sua volta il ginocchio davanti alla bella ella non tarda a perdonarlo.
Allora felici e giulivi entrambi, mostrano con la loro danza animata e piena di vivacità e di trasporto, che il loro amore è coronato.

 

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"La tradizionale tarantella sorrentina"

 

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