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A Tavola con personaggi estimatori della cucina fiorentina

 
     
 

 


 

Lorenzo il Magnifico era proprietario di grandi estensioni terriere che erano amministrate dalla madre Lucrezia. Egli però era molto attento alla scelta delle piante da coltivare e alla fauna, infatti faceva ripopolare le sue riserve di fagiani e pavoni e le peschiere di pesci. Egli preferiva mangiare le lepri dei suoi boschi e il formaggio di fattoria. Anche nei pranzi di corte ordinava pietanze basata su prodotti genuini della regione per realizzare piatti tradizionali.
Fu anche un bravo cuoco, infatti pare che sia sua la ricetta che scrisse nel “ Canto de’ Cialdoni”:
"Metti nel vaso acqua e farina, quando hai menato, poi vi si getta quel ch'è dolce e bianco zucchero: fatto l'intriso, poi col dito assaggia, se ti par buono le forme (i testi) al fuoco poni, scaldale bene e quando l'intriso nelle forme metti e senti frigger, tieni i ferri stretti. Quando ti par è sia fatto abbastanza, apri le forme e cavane è cialdoni e 'l ripiegarli allor facile riesce caldi: e 'n panno bianco li riponi".

 

Gabriele d’Annunzio soggiornò a lungo a Firenze dove condusse una vita all’insegna del lusso e dei divertimenti. Fu anche un estimatore della cucina di Firenze, soprattutto quella delle trattorie che frequentava non certo per tirchieria ma perché ne apprezzava la bontà delle pietanze. A Settignano frequentava la Capponcina dove apprezzava molto i manicaretti della cuoca Anastasia, invece quando abitava in Via Lorenzo il Magnifico era solito recarvisi in compagnia della Duse o di amici giornalisti e critici teatrali ed ordinava bistecche nella trattoria di Gaetano Picciolo.
La cucina fiorentina restò sempre un dolce ricordo per il Poeta, anche dopo essersi ritirato al Vittoriale. Un giorno, avendo ricevuto dal figlio del Picciolo una lettera rispose con un telegramma: “Il tuo inaspettato messaggio risveglia i miei più dolci ricordi fiorentini. Stop. Ti mando quel che vuoi ma tu mandami per telegrafo la bistecca di tre quarti che mangiammo allora insieme col non dimenticabile Jarro. Stop. Abbraccio il babbo. Gabriele D’Annunzio”.

 

Un’altra pagina che testimonia l’interesse per la cucina da parte di tanti scrittori è relativa alla ricetta dell’acquacotta descritta da Federico Tozzi nel romanzo “Con gli occhi chiusi”. La pietanza è preparata da Masa nel podere di Poggio a’ Meli: «Bisognava vederla! Versava da un'ampolla di latta un filo d'olio, un filo così sottile come la punta di un ago. Sgocciolato bene il forellino prima di richiudere l'ampolla dentro la madia, vi passava sopra la lingua più di una volta. La padellina bolliva ed ella vi buttava aglio e cipolla tritata. Quando l'aglio era diventato giallo e abbrustolito, metteva il soffritto nella pentola piena d'acqua salata; la riaccostava al fuoco e intanto affettava un pane, appoggiandoselo al petto e spingendo il coltello con ambedue le mani...».

     
 

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